“Ho accolto con grande piacere il compito che Medio Chiampo mi ha affidato - sottolinea Romano, dottore di ricerca in filosofia e fondatore della società di ricerche socio - economiche Local Area Network - . Non sono uno specialista di scienze ambientali, ma l’acqua è oggetto di interesse anche per l’uso sociale che ne fa l’industria ed è su questo aspetto che si concentra principalmente il libro. Focalizzarsi sull’acqua nel 2022, anno segnato da una forte siccità, ha messo ancora più in evidenza la fragilità dell’ecosistema e la responsabilità che la comunità deve assumersi per praticare uno sviluppo sostenibile”.
Il libro racconta di un microcosmo territoriale, quello della bassa valle del Chiampo, in cui si trova una parte significativa del distretto vicentino della concia.
Stiamo parlando di un territorio piccolo, di due comuni - Montebello e Zermeghedo- che insieme non superano i 12 mila abitanti, ma che sono fortemente industrializzati e che hanno avuto la forza di unirsi per creare un depuratore la cui capacità è equivalente a quella di una città di 500.000 abitanti. La realizzazione di questa infrastruttura ambientale è un elemento chiave del racconto di questo microcosmo. Dobbiamo infatti considerare che negli anni 70, all’epoca della prima industrializzazione conciaria, il mondo occidentale stava già conoscendo le prime delocalizzazioni. In Germania, Svezia e altri paesi del Nord Europa la comparsa di normative ambientali spingeva verso questa soluzione. Al tempo si profetizzava un destino simile anche per la Valle del Chiampo, invece, sotto la spinta della Legge Merli del 1976, con relativa tempestività il distretto si è dotato dei suoi depuratori per coniugare attività industriale ed esigenze ambientali.
Di delocalizzazione si è parlato anche negli anni successivi…
Negli anni 90 molti distretti, tra cui quello della carta, delle calzature, del tessile e dell’abbigliamento, hanno segmentato il ciclo produttivo spostando le fasi iniziali del ciclo produttivo in altri paesi, dalla Romania alla Cina. Ciò non è avvenuto per il distretto della concia. In questo caso dobbiamo piuttosto parlare di internazionalizzazione, con l’apertura da parte dei grandi gruppi di stabilimenti all’estero, strategicamente utili per la vicinanza alla materia prima o ai mercati. Il cuore del distretto, però, non si è mai sfaldato spazialmente.
Quali sono le ragioni di questa specificità?
C’è, innanzitutto, una ragione di natura tecnica: nella concia le lavorazioni iniziali sono decisive e devono essere di prossimità. Inoltre, come spiegava l'economista Becattini, il distretto è un ambiente produttivo speciale caratterizzato da rami produttivi complementari, in grado di dare anche alle aziende più piccole vantaggi altrimenti impossibili se fossero isolate. Pensiamo allo sviluppo delle macchine per la lavorazione della concia, ma anche di aziende chimiche indigene in aggiunta ai grandi gruppi internazionali di chimica industriale. Infine, va considerata la vicinanza nel distretto di diverse aziende che svolgono le medesime lavorazioni. Questa concorrenza “intradistrettuale” rappresenta un vantaggio invisibile molto importante in termini di efficienza del sistema.
Nel libro si parla anche di una “conoscenza tacita”...
Questo elemento è in effetti caratteristico di tutti i distretti, un sapere tacito non appreso sui manuali che si mescola con il know how tecnico. Questa compenetrazione era particolarmente evidente nella generazione degli imprenditori fondatori, ma ha avuto un ruolo forte anche negli anni della grande crescita.
Abbiamo visto come l’esigenza di mitigare l’impatto ambientale abbia responsabilizzato il distretto fin dalle prime fasi di sviluppo. Qual è stato a suo avviso un momento particolarmente importante nell’affermazione di un modello di produzione sostenibile?
Il biennio 2008/2009 ha rappresentato per il mercato mondiale una fase di forte contrazione, in cui le imprese si sono liberate dell’urgenza del “quanto produrre” e si sono concentrate su “come produrre”. È in questo momento che la parola sostenibilità comincia a circolare in maniera forte, anche come richiesta dei brand e dei mercati. Questo ha portato a vere e proprie ristrutturazioni dei cicli produttivi e alla nascita di esempi vincenti di economia circolare. Un altro elemento importante, a partire dal 2017, è l’approdo nel distretto dei fondi di investimento che notoriamente rappresentano una forte spinta sul fronte dei fattori ESG (Environmental, Society, Governance).
Il libro si conclude con l’affermazione della necessità di una seconda rivoluzione nella transizione ecologica. Di cosa si tratta?
L’obiettivo di una concia a impatto zero coinvolge la questione dei consumi idrici, dei consumi energetici e della chimica industriale. È un quadro complesso. Senza dubbio in questa transizione diventerà sempre più importante il rapporto tra ricerca scientifica e tecnologie produttive, assieme alla ricerca di nuove competenze sul mercato del lavoro. Inoltre, la compenetrazione tra pubblico e privato dovrà essere totale per le sfide future.
Una sinergia pubblico privato di cui proprio Medio Chiampo è un esempio significativo.
La nascita di Medio Chiampo come consorzio volontario sotto impulso pubblico motivato da una domanda privata, la compartecipazione del privato attraverso il sistema delle tariffe, scelte lungimiranti e condivise come quella dei trattamenti a piè di fabbrica, sono perfetta espressione di questa sinergia. È un aspetto che mi ha colpito particolarmente durante la stesura del libro, assieme alla capacità di Medio Chiampo di coniugare il valore industriale con quello ambientale e civile dei servizi ai cittadini.
Dopo aver raccontato la storia e il percorso di questo territorio attraverso il caso di Medio Chiampo, quali potrebbero essere le prossime iniziative?
La possibilità di proseguire nell’analisi di un ecosistema così complesso mi interessa molto. Non ci sono tanti studi organici su questo distretto, come si evince anche dalla bibliografia che ho inserito nel libro. Ritengo che l’idea di Medio Chiampo, di voler accompagnare il traguardo dei 40 anni di depurazione con un’operazione culturale, possa essere un punto di partenza per ulteriori ricerche. La forza del distretto passa anche attraverso la riflessione e la capacità di alimentare la propria unicità.